
Abbiamo visto i Prodigy dal vivo questa estate all'Home Festival di Treviso (qui la gallery) prima dell'uscita di "No Tourists". In questi giorni erano in tour proprio per portare dal vivo questo ultimo album, poi ieri è arrivata la notizia della scomparsa di Keith Flint..
I nati negli anni '70 sono cresciuti ascoltando, di riflesso dai genitori, cantautorato, rock classico o magari, nella migliore delle ipotesi, jazz e blues. Poi durante l’adolescenza, negli anni ’80, a meno che avessero un fratello o una sorella maggiore immersi in controculture come, per esempio, il punk, si sono sorbiti, soprattutto di riflesso dalle radio, il pop patinato e l’italo disco. Finita quest’epoca, però, in contemporanea all’approdo ai vent’anni, è successo qualcosa. Se i primi quattro dischi dei Public Enemy, usciti tra il 1987 e il 1991, hanno introdotto tutta questa generazione al rap, c'è stato un gruppo, e un suo disco in particolare, che ha sdoganato i ritmi elettronici dandogli un’aura alternativa. Tre anni prima che MTV Italia nascesse, quando qui c’era ancora e solo Videomusic, e undici anni prima che YouTube muovesse i primi passi, tutto è accaduto sempre e comunque grazie a un video, quello di “No Good (Start The Dance)”, brano contenuto nel secondo disco dei Prodigy, uscito nel 1994, “Music for the Jilted Generation”. Un sotterraneo, uno stabile industriale abbandonato, un Dj che fa ballare poche decine di persone; non c’è ressa, nessuno è agghindato da sabato sera, anzi, e quattro ragazzi sfilano tra gli stanzoni scrutando la situazione fino a quando l’adrenalina sale… Sono passati due anni da un esordio, "Experience", che in Italia in pochi hanno notato e siamo tre anni in anticipo rispetto all'exploit di "The Fat of the Land": “No Good (Start The Dance)” rappresenta un confine, è il primo vero singolo grazie a cui i Prodigy catturano l'attenzione di molte persone estranee alla scena rave. Anche dei rocker, perché in piena epoca crossover, c’è apertura verso ascolti spesso lontani dagli orizzonti scelti.
Sempre nel video di “No Good (Start The Dance)” c’è uno dei quattro ragazzi, il capellone, che finisce intrappolato in una camicia di forza e che due anni dopo, nel 1996, nel video del singolo che anticipa l’uscita “The Fat of the Land”, quello di “Firestarter”, si ripresenta rasato e con due piccole creste laterali: lui è Keith Flint, che è vestito, canta e si muove con un piglio punk e si lascia alle spalle l’immagine efebica dei primi due album. Sarà sempre più lui, in mezzo agli altri membri del gruppo, a catturare l’occhio della generazione di chi, per quanto cresciuto incollato davanti alla tv, almeno una volta è finito in mezzo a un rave party. La stessa generazione che, complice la lunga pausa seguita alla pubblicazione di “The Fat of the Land” - il disco successivo arriva ben sette anni dopo, nel 2004 -, superati i trent’anni ha per lo più dimenticato il fermento del decennio precedente e ha tentato di riprendere il modello dei genitori ‘lavoro-casa-famiglia’. Flint e soci hanno continuato e, con i naturali cambiamenti imposti dagli anni, fino a pochi giorni fa sono stati capaci di infiammare ancora il palco durante i live. Soprattutto grazie ai pezzi dei primi tre album, senza dubbio, ma questo, di per sé, non è un demerito. Nel 2000 Leeroy Thornhill (il primo a sinistra nella foto in alto) aveva lasciato il gruppo e i ragazzi erano rimasti in tre ma ora, con la scomparsa di ieri di Flint, finisce un’esperienza che magar ai raver incalliti è sempre sembrata espressione mainstream della loro cultura ma per tanti altri ha segnato l’apertura a un mondo sonoro verso cui prima c’erano molti pregiudizi.