
Recuperare la visione di un documentario come “Unstoppable” significa approfondire l’arrivo dell’hip hop a Londra, raccontato da chi l’ha vissuto (vedi MC Mello nel video qui sotto), e magari capire meglio anche il grime…
Quando si pensa al rapporto tra il Regno Unito e il rap, spesso e volentieri si finisce per pensare immediatamente al grime. Vuoi per l’unicità dell’immaginario, vuoi per la forte componente narrativa che ne caratterizza le liriche – legandole indissolubilmente proprio al contesto inglese -, vuoi per la fortissima esposizione mediatica di artisti quali Skepta, Stormzy, Giggs e altri; insomma, il binomio rap inglese – grime sembrerebbe quasi inscindibile.
L’hip hop non è però sbarcato oltremanica nella forma del grime, anzi. Le radici del movimento hip hop inglese risalgono a quasi quattro decenni fa, e si legano a un periodo storico e ad un immaginario lontanissimo da quello del grime. Cronologicamente siamo a cavallo tra la fine dei ‘70 e l’inizio degli ‘80: un periodo politicamente e socialmente turbolento, caratterizzato da manifestazioni e scioperi frequenti, e da una forte componente razzista a cui la società tendeva a dare libero sfogo. In una cornice quanto mai incerta come questa, Londra è la culla di una miriade di sottoculture, che proliferano nei modi e nei luoghi più disparati. Dai naziskin ai punk, passando per la pop culture, la capitale inglese è un calderone nel quale ribollono gli stimoli culturali più disparati.
In uno scenario simile, l’hip hop inizia a farsi strada con le sue discipline, lasciando però da parte – almeno in partenza – proprio il rap. Sono infatti il ballo e il writing a fungere da apripista per il movimento culturale, che inizia a farsi strada soprattutto nelle comunità afroamericane, allora vittime di una forte emarginazione a sfondo razziale. A Londra questo movimento si intreccia con quello dei sound system, eredità della nutrita comunità di immigrati giamaicani nella capitale, che vivono i sound system come vere e proprie feste, momenti di socializzazione accompagnati dalla musica. La componente reggae è forte nei sound system, e in poco tempo i figli dei migranti, inglesi di seconda generazione, si appropriano di alcuni elementi del sound system – distaccandosi però dalla componente reggae che li caratterizzava. In poco tempo nascono party in cui suonare i successi della black music che arrivavano da oltreoceano – soprattutto il funk e la dance che animavano i locali americani -, lasciando scatenare i presenti a colpi di streetdance e breakdance. La difficoltà dei singoli di recuperare la musica, disponibile solo per i pochi fortunati in grado di reperire le cassette, veniva quindi meno in questi momenti di ritrovo – che si trasformavano poi in qualcosa di molto simile alle jam, con degli intrattenitori al microfono e writer intenti a realizzare i pannelli più disparati.
Dagli eventi in quartiere, il movimento hip hop ha iniziato a propagarsi in tutta la città, raggiungendo poi il centro, trasformandolo di fatto nel principale luogo di ritrovo per tutti gli appassionati. Covent Garden divenne infatti la Mecca per tutti gli appassionati di questa sottocultura, che nella sua declinazione inglese vedeva anche una fortissima componente femminile, perfettamente integrata e considerata alla pari di quella maschile. I primi rapper iniziavano a impugnare il microfono e a registrare le primissime tracce, mentre alcuni locali iniziavano a organizzare serata poi diventate culto per i presenti.
“Unstoppable – The Roots of Hip Hop in London” è un documentario che racconta il germogliare di questo fenomeno, tramite i passaggi sopracitati e molti altri. Le voci degli OG, degli originatori di quel movimento, si raccontano in maniera emozionata, genuina e per nulla patinata al microfono di Giuseppe Pipitone (aka u.net), autore del documentario e dell’immensa mole di ricerca che si cela al suo interno. I volti delle personalità coinvolte, per quanto segnati dal tempo, mostrano ancora quelli sguardi elettrici che lasciano trapelare l’amore e la dedizione per una cultura che ha cambiato le loro vite. Gli intervistati analizzano il movimento anche da un punto di vista sociale, mettendone in risalto l’importanza soprattutto visto il periodo storico delicato. Non c’è una componente lavorativa o di business, è la passione a parlare, quella più viscerale, selvaggia, spontanea e per certi versi incontrollabile. La regia di Lidia Ravviso rende giustizia alla grezza spontaneità del racconto, all’incoscienza che animava quegli anni, allo spirito di unione che legava i presenti.
“Unstoppable – The Roots of Hip Hop in London” è un progetto che può far capire quanto, spesso, una manciata di chilometri siano più che sufficienti a dar vita ad approcci lontanissimi. Guardare il documentario avendo chiari i primi passi mossi dall’hip hop in Italia è infatti un’esperienza particolare, in bilico tra il “chissà dove saremmo se fosse andata così anche da noi” e l’interrogativo “e da qui, come sono arrivati al grime?”; speriamo che, in futuro, Giuseppe Pipitone decida di rispondere al secondo interrogativo con un nuovo documentario!
MC Mello - Unstoppable interview extract from Nicola Cavalazzi on Vimeo.