
Ci sono ancora i presupposti perché, oggi, nasca una realtà come 31 Recordings? Inglese classe 1969, il suo fondatore, Doc Scott (qui sopra in una foto del 1996 con Goldie, Shawn Stussy e Michael Kopelman) resta un esempio costruttivo di integrità musicale su cui vale la pena soffermarsi.
Oggi, quando si cerca di respirare aria nuova all’interno dell’industria musicale, si fa molta fatica e, soprattutto, scarseggia l’ossigeno. È difficile già per chi sta dietro alle ultime novità sulle piattaforme come Spotify, pensate allora quanto può essere complicato per chi della musica underground, dell’elettronica di ricerca, ne ha fatto uno stile di vita o magari un lavoro. Insomma, anche se spesso si sente dire il contrario, per chi frequenta i ritmi digitali per passione, cerca di evitare i pregiudizi e vuole fermarsi per apprezzare l’anima di ciò che ascolta, sembra davvero complicato sfamare la propria curiosità musicale.
Nel 1996, a Londra, nasceva una di quelle etichette che, se fosse nata oggi, avrebbe trovato molti meno riscontri nella massa di ascoltatori online: la 31 Recordings, fondata da Scott Mcllroy aka Doc Scott, una delle poche etichette discografiche nate dopo la prima ventata di free party della Summer of Love nel 1989. È proprio da queste radici che il suo fondatore ha deciso di partire per costruire il sound di quella che, oggi, nel panorama drum and bass, è una delle label più rispettate e tenute d’occhio dagli “addetti ai lavori”. Non a caso, stiamo parlando anche del co-fondatore, insieme a Clifford Joseph Price aka Goldie, del menhir delle etichette discografiche drum and bass, la Metalheadz.
Innamorato dei ritmi sincopati, dalle atmosfere dark, e delle profondità dei sub provenienti dal dub giamaicano ritrovabili nei set dei primi rave illegali, Doc Scott prima di fondare la sua etichetta è stato, per anni, uno dei capisaldi dell’hardcore breakbeat, progenitore dell’innovativa techstep. Si tratta di un genere progressivo e, grazie allo sviluppo delle tecniche di composizione musicale, più incisivo sul dancefloor. Per prenderne atto, basterebbe partire dall’ascolto di “Here Comes the Drumz” (qui sotto lo streaming), tratto dall’EP “The Early Dubplates” composto dal dottore sotto gli pseudonimi sia di Doc Scott che di Nasty Habits.
Una delle caratteristiche che, con il passare degli anni, è andata persa ma che personaggi come Doc Scott, Goldie e il compianto Marcus Intalex fanno rivivere all’interno della loro musica e delle loro etichette, è il fattore dell’inaspettato, dello sconosciuto, della sorpresa. Ogni brano che veniva messo ai primi rave era un vero e proprio inedito. Chiunque si trovasse dietro ai giradischi, non aveva in mano solo dei vinili ma anime unite dal ritmo di una musica che stava nascendo e che cominciava a regalare le sue prime emozioni. È proprio la connessione energetica che la musica crea, quel sentimento di unificazione con l’ambiente circostante perturbato da vibrazioni sonore, percepibili sia dall’esterno che dall’interno del nostro corpo, il vero fattore di distacco dall’industria musicale. La 31 Recordings è senza dubbio un baluardo di quella fondamentale e ormai debole visione del mondo musicale che mette davanti al prodotto in sé ciò che questo trasmette alle persone. Etichette come quella di Doc Scott non perderanno mai il passo a vantaggio delle tendenze perché creano anche uno stile di vita, un modo di pensare la musica, un modo di vivere i party.
Oggi l’identità del Dj e, di conseguenza anche del producer, risulta essere il principale motore d’interesse di chi frequenta le feste e segue la musica elettronica. Sta venendo meno il semplice interesse nell’andare a scoprire quali saranno le vibrazioni che ci verranno trasmesse durante una serata così come la voglia di ascoltare con attenzione la discografia di un artista, a prescindere da chi si tratti. La massa va a una serata per i nomi annunciati in line up e non per quello che l’ascolto può creare in loro. Il compito del Dj sarebbe quello di far perdere le persone dentro le onde sonore selezionate appositamente senza concentrare l’attenzione su di sé, ma ormai questo non avviene quasi più.
31 Recordings è l’esempio di come Scott Mcllroy sia rimasto fedele al suo gusto musicale e abbia conservato un’attitudine utile a preservare le radici di un intero genere, per migliorarlo ed evolverlo anche con tracce lontane dal pensiero comune di musica dance. Ma lo ha fatto sempre rimanendo al passo con i cambiamenti che il suono ha subito nel corso di ormai più di 25 anni di sperimentazione e conquiste tecnologiche. Perché sarebbe un controsenso parlare di musica e tradizionalismo come di due elementi religiosamente legati tra loro.
31 Recordings nel 2019 riesce ancora a far corrucciare le sopracciglia per via della sua poca immediatezza. Non è semplice comprendere tracce molto minimali e scarne di elementi come, per esempio, l’ultima uscita di Serum, “Mixed Grill / Red Meat”: pochi rintocchi di synth ben posizionati nella stesura del brano riempiono l’atmosfera facendo rimbalzare l’ascoltatore da un rintocco all’altro in una sorta di sentiero sonoro a intensità alterne. Suoni sintetici alternati a bassi netti e potenti sporcati da rumori quasi cartacei in “Mixed Grill”. Le stesse basse frequenze in “Red Meat”, invece, ricordano più dei wobble bass vecchio stile modulati con un riverbero molto accentuato e chorus. Probabilmente la difficoltà nella comprensione di questo minimalismo spezzato proviene proprio dalla linea ritmica ripetitiva e composta da solo quattro o al massimo cinque elementi, scelta fatta per dare ancora più spazio agli elementi elettronici che costruiscono le due tracce dell’EP.
Oltre alle vibrazioni roller minimali e incisive che stanno caratterizzando in gran parte tutta la scena UK della drum and bass, la 31 Recordings offre un enorme catalogo di jungle pura e cruda dove a fare da padrona sulla struttura di ogni composizione è la batteria mentre tutto il resto si sviluppa attorno ai break caotici e incessanti che trascinano in un loop chiunque ami le ritmiche in levare. Per chi invece predilige un andamento più simil dancehall, con accenni di inni orientali, halftempo, e un ventaglio di BPM molto vasto (dagli 86 ai 130), “The Expect” EP composto da Hidden Turn nel 2015 è sicuramente il singolo che fa al suo caso.
Oggi prendersi del tempo per avventurarsi nel mondo della 31 Recordings, può far riscoprire un approccio alla musica che stiamo perdendo…