
Dopo tante interviste, l'autore di "Omnia" (La Tempesta Dischi) risponde anche alle nostre domande, che prendono spunto da quanto e cosa gli altri hanno scritto finora...
Roma ha sfornato un altro bel disco, che ancora una volta racconta una città musicalmente gonfia di energia e coraggio. Forse perché la Santa Roma è così tanto un delirio che stare in studio abbracciato a synth e sequencer sta diventando più bello che passeggiare davanti al cuppolone (aka San Pietro). La Città Eterna ha pasciuto un produttore che negli anni è cresciuto, è diventato un ometto e ora ha messo fuori "Omnia" (qui sotto lo streaming). Noi di Hellmuzik siamo probabilmente gli ultimi nella fila di quelli che hanno scritto e commentato questo disco, perché ci andava di stare a guadare che effetto avrebbe fatto il drop di un album così. Però poi ci siamo trovati con tutte le parole occupate già, con tutte le metafore usate già e quindi senza mezzi per dire la nostra sul disco.
Niente, tabula rasa. E mo’ che scriviamo? Dannazione, potevamo muoverci prima?
Comunque, nonostante il ritardo, avevamo voglia di dire la nostra e, comunque, si tratta più o meno di un disco di elettronica e dei dischi elettronici si può scrivere qualsiasi cosa, no? Purtroppo, non è un disco di musica elettronica, ma il disco di un autore che parla anche senza usare parole e che al posto della chitarra usa il sidechain. Ah, ci siamo anche dimenticati di dire di chi stiamo parlando. L’autore di "Omnia" è Capibara aka Luca Albino, uno che scrive album come fanno i cantautori, cioè con un inizio e una fine, con un racconto dentro che alla fine ti lascia un pezzettino di sé dentro, come sa fare un bel libro. Visto che "Omnia" non è un disco di musica elettronica, non possiamo snocciolare parole a caso, lodando scelte sonore uniche o groove avvincenti, qualsiasi cosa vogliano dire queste parole, ma visto che molto è stato già detto, abbiamo pensato di chiedere chiarimenti a Capibara su alcune frasi che abbiamo trovato scritte in modo ricorrente negli articoli che hanno parlato di "Omnia". Insomma, un’intervista sulle interviste, una meta intervista da malati di mente.
"Omnia", è un disco che parla tanto, senza usare tante parole, un album nel quale tutto sembra avere un senso, perché il senso cresce in chi lo ascolta mentre lo ascolta. In questo "Omnia" ricorda alcuni dischi della fine degli anni ’90, anni in cui la musica elettronica era chiamata dal mercato a cimentarsi con gli album, dopo essere vissuta per tanto tempo a forza di singoli, con un risultato che era a cavallo fra rave e pop, fra ballo e canto.
“Disco come riassunto di sé stesso”. Pensi che sia possibile fare musica senza “riassumersi”, versarsi in quello che si produce?
Penso sia impossibile dare luce a qualsiasi forma di arte senza che l’autore metta anche una minima parte di sé stesso, della sua esperienza e delle sue idee, in essa. Anche se provasse a prenderne completamente le distanze, la sua opera non potrebbe che essere figlia diretta della sua vita ed esperienza.
L’album sembra un Dj set fatto a pezzi, nel senso che è omogeneo e che potrebbe tranquillamente essere un set mixato. “Disco con molti generi dentro”. Pensi che basti cambiare ritmo per cambiare genere?
O penso che basti cambiare genere per cambiare ritmo? A parte le battute brutte, credo che ormai molte suddivisioni di generi siano diventate sempre più sottili, ormai un cantante pop così come anche un produttore elettronico "underground", subiscono influenze da moltissimi generi contemporaneamente, il mercato è cambiato - soprattutto all'estero è un mercato orizzontale, con milioni di opzioni di scelta ogni singola volta. Inevitabilmente, quando i numeri sono così alti, le cose iniziano a mischiarsi, mescolarsi, nelle idee, nella testa delle persone e dunque anche di chi fa musica.
Manifesto è la parola che forse ho letto più spesso nelle recensioni di "Omnia". È il manifesto di cosa?
Di me. Di una persona X in un periodo X. Forse più che manifesto, quasi un riassunto.
Sembra che chi ha scritto del disco in alcuni casi abbia lasciato che la fantasia prendesse il sopravvento rispetto alla critica di un disco. Qualcuno ha parlato di Dolcezza e Aridità nel disco. Secondo te ci sono pezzi dolci e pezzi aridi?
C’è sia dolcezza arida che aridità dolce.
“Disco al di fuori di ogni schema” O forse è “solo” un disco contemporaneo? Un disco che sta a suo agio negli scaffali di dischi accanto ad altri album semplicemente contemporanei. Passi del tempo a pensare come essere fuori dagli schemi?
No, passo il mio tempo a giocare ai videogiochi, a guardare Twitch, a leggere (ora sono sotto con Roth) e basta. Anche perché, come dico sempre, se volevo fare soldi o avere fama, avrei scelto un altro tipo di musica.
Ho letto un sacco di cose su "Omnia", molte dissertazioni perfino sui testi, cosa che quando esce un disco trap non accade. Quando la musica è strumentale è obbligatorio usare più parole per raccontarla?
Non credo che dipenda se ci siano o meno parole, credo che a suscitare questa reazione, che evidenzi tu, sia stato il fatto che è stato percepito come un disco che aveva al suo interno una forte componente narrativa, anche autobiografica diciamo; e del fatto che questa cosa sia "arrivata" non posso che esserne contento. Usare tante parole per raccontare cosa ha tanto da raccontare, a prescindere dal genere, è sempre un qualcosa di molto gratificante per un artista.
Domanda extra da malati di pro-audio: Non ti disturba il fatto di passare ore a lavorare sul suono di un pezzo, sapendo che poi l’ascolto medio è quello con il telefonino?
Assolutamente, io lo faccio principalmente per me. Deve piacere a me medesimo e soddisfare le mie orecchie per primo. Poi se qualcuno che non sia io, percepisce e apprezza la ricerca o la scelta di suoni e altro, allora ben venga. Ma non vado di certo a pensare alla fruibilità del mio prodotto mentre lo produco.