
"Broken Symmetry" è l'album di esordio del torinese Phoet. Già conosciuto come Ezra, il producer si è rimesso in discussione con questo nuovo alias e, anche grazie al supporto dell'etichetta Variables, sta facendo parlare molto di sé, a partire dall'estero. In parte c'entra anche il suggestivo video del singolo, “Symmetry Breaking” (qui sotto), che parla un linguaggio assolutamente internazionale, proprio come le 12 tracce dell'album. Il disco, per lo più strumentale (ma ci sono due featuring, quelli di Suz e Sananda Maitreya - una volta Terence Trent D'Arby), ci sembra una delle cose più interessanti prodotte in Italia in questo primo scorcio dell’anno, così abbiamo rivolto qualche domanda all’autore che, per ampliare una risposta su come torna il concetto di simmetria nella sua musica, ci ha regalato lo schema della progressione delle tracce del disco (vedi qui sopra).
Vorrei partire dal video di “Symmetry Breaking” perché non si fa altro che dire che i video stanno perdendo importanza e il tuo non può che smuovere qualcosa in chi guarda e ascolta. A parte il riferimento all’attualità, ha una forte estetica africana contemporanea e aver scoperto che dietro c’era un artista italiano mi ha colpito molto. Come è nato e con chi l’hai realizzato?
Sono contento che smuova qualcosa. Non ragiono molto sull’utilità delle cose, molto spesso le cose inutili sono quelle più belle, forse perché sono in qualche modo più pure. Mi interessava raccontare una storia e soprattutto farlo in maniera simbolica. Mi ha sempre infastidito la tendenza a mettere al centro dei video l’artista, rende tutto pubblicitario e quindi poco interessante, almeno per me. L’idea è nata quando ho scoperto questi funerali con ballerini (funeral dancers) fatti in Ghana. Ho iniziato a chiedermi chi ci fosse nella bara e che storia potesse avere. Direi che l’estetica africana nasce da questo. È stato inevitabile finire a confrontarmi con la situazione italiana ma volevo evitare di trattare l’argomento con giudizio o paternalismo e spero di esserci riuscito. Il video è stato realizzato e prodotto in collaborazione con Mybosswas. È stata la mia prima esperienza nella scrittura e direzione aiutato da Federico Biasin e Steve Panariti.
Più in generale, quanto c’entra l’Africa con questo disco?
C’entra nelle ritmiche. Non sono un grande esperto di musica africana ma ho cercato di approfondirne i ritmi, soprattutto le poliritmie. Non volevo sembrasse però una soluzione didascalica ma integrata con gli elementi che di africano hanno poco.
Invece quanto ti ha ispirato il concetto di simmetria, che torna nel titolo del disco e del primo singolo?
Qui potremmo parlarne veramente tanto. Per me la simmetria ha a che fare con la geometria quindi in qualche modo con il senso del bello, l’ordine e l’equilibrio. Trovo interessante però quando la simmetria si rompe, tutto si mette in movimento. In molti pezzi la rottura è rappresentata da un cambio di tempo o di ritmo, come in “Symmetry Breaking” per esempio. Il disco è una sorta di concept sul tempo. I 12 pezzi si sviluppano in progressione per quinte tornando alla tonalità di partenza alla fine del disco. Quindi anche qui c’è una sorta di simmetria. Poi c’è tutta la parte di simmetria e fisica ma rischio di esagerare un po’....
Puoi raccontarci il passaggio da Ezra a Phoet?
(Ride, ndr) Allora... nel corso degli anni ho fatto tante cose, soprattutto per gli altri. Avevo bisogno di fare tabula rasa e ricostruire un immaginario, uno stile e anche un metodo di lavoro. Certamente mi porto dietro il mio bagaglio, ma ho rimesso tutto in discussione. Phoet mi ha regalato una libertà d’azione che prima non sentivo di avere.
All’estero mi sembra che si stiano interessando molto a questo tuo nuovo progetto. Qui in Italia com’è la risposta, finora?
C’è dell’interesse anche qui, e questa intervista lo dimostra, anche se le cose si muovono lentamente. Vedremo. Ho avuto la fortuna di trovare un’etichetta (Variables) che ha creduto in questo progetto nonostante la difficoltà di essere in un Paese in cui la musica elettronica di questo tipo è comunque sempre di nicchia. Fortunatamente il mondo è grande e io non mi sento particolarmente legato ai confini italiani.
Nel disco ci sono spunti che richiamano molti stili e generi, dalla bass music al broken beat, passando per house, techno, trip hop, soul e ritmi africani. Oltrepassando i generi, come descriveresti il suono complessivo del disco?
Negli anni ho ascoltato moltissima musica. Ho iniziato a produrre con un vecchio Akai 2800, tanti anni fa ormai. Il campionamento prevede di dover ascoltare tantissimo per poter trovare quello che cerchi. Quindi immagino che tutto si sia sedimentato e sia poi venuto fuori con questo disco. Nello specifico volevo fare un lavoro più o meno ballabile, quindi tutte le serate passate a mettere dischi sono tornate utili. Tecnicamente ci sono delle caratteristiche precise, le ritmiche non quantizzate, i suoni di drum registrati con oggetti (chiavi, legno, carta, sacchetti di plastica ecc.), i synth distorti, il trattamento delle voci con i riverberi in reverse, i giochi sulle fasi che lo rendono poco mono compatibile. Se dovessi trovare un nome a quello che faccio direi che Bassment renderebbe l’idea. Dopotutto ho lo studio in un seminterrato.
Per finire, come sarà il live di “Broken Symmetry” (qui sotto lo streaming)?
Il live è già avviato e cercherò di organizzare qualche data. Suono come si suona il dub. Registratore a nastro con 16 tracce separate, mixer, effetti e synth. Un discreto numero di chilogrammi ma che ci vuoi fare? È il fascino dell’analogico.