
Esce oggi “Gioco Sporco” (Yodaman Music & Antistandard Recs), album grime di Yodaman (foto di Fabio Ficara).
Yodaman, MC napoletano classe 1989 residente da anni a Milano, è uno dei pochi esponenti del grime in Italia e porta avanti il suo percorso all’interno di questo genere con molto rigore, restando fedele a un’estetica underground. In Italia, al momento, per un profilo come il suo, è difficile pensare a degli sbocchi sul mercato che macina numeri, eppure Yodaman ha avuto e ha contatti con realtà di punta della scena inglese, come Rinse o il Fabric, per capirci. Ragionando in un’ottica europea (lasciando da parte UE e Brexit), l’orizzonte si apre ma in un attimo la stessa Milano, nostra capitale della discografia, diventa provincia o periferia e la strada si complica di nuovo. Ci capita spesso di raccontare storie di artisti che, coltivando una grande passione, si muovono, anche da anni, all’interno della bass music tenendo come base l’Italia ma, nella maggioranza dei casi, si tratta di dj e producer che non si trovano ad avere la lingua come vincolo e ostacolo. Insomma, con il grime, dove parole, accento e flow sono fondamentali, il gioco si complica ma c’è chi non demorde… In occasione dell’uscita di “Gioco sporco” (qui sotto in streaming), il suo primo disco solista, che si iscrive nel filone del grime classico, abbiamo rivolto qualche domanda a Yodaman per mettere meglio a fuoco la sua esperienza.
Ultimamente la scena rap/trap di Napoli è molto in vista. Tu, come esponente del grime italiano, ti senti parte di questa scena o la vedi come una realtà diversa e distante dalla tua?
Sono molto felice del fatto che la scena rap della mia città sia quasi sempre in cima alla vetta nazionale. Nonostante io rappresenti una certa nicchia, non credo siano due mondi così distanti, è solo il mercato italiano che fa da spartiacque. Se guardiamo all’Inghilterra, per esempio, i due mondi sono quasi la stessa cosa, artisti grime e trap si frequentano, collaborano e hanno sfogo in un mercato musicale vasto e che lascia spazio alla ricerca. Tutto questo in Italia è molto limitato, un artista trap è quasi sempre pop e già proiettato verso un mercato mainstream, un artista grime, al contrario, a oggi ha accesso solo a un mercato underground. Come ho già detto in altre occasioni, sono molto legato al grime, è come vestire un abito su misura, ma non voglio chiudermi totalmente, ho voglia di spaziare, misurarmi, dimostrare e prendere terreno…
Tra l'altro, ho letto che hai partecipato alla prima edizione di “Grime Olympics” su Rinse FM, una sorta di "sfida amichevole" tra nove nazioni. A parte raccontarci come è andata, anche a partire da questa esperienza, che periodo pensi stia vivendo la scena grime a livello internazionale? Per esempio, visto che gli inglesi giocano un "campionato" a parte, da dove vengono gli MC più forti in circolazione?
Mah, guarda, veramente per caso, un giorno mi chiama Ninjaz e mi dice che c’è questa possibilità di rappresentare l’Italia in una sfida tra nazioni su Rinse FM nel programma di Marcus Nasty. Mi è sembrata una figata da fare e siamo partiti con la solita squadra #Grimeit più alcuni dei nuovi elementi che man mano stanno uscendo fuori. Ognuno di noi ha mandato delle registrazioni acapella a Leonard P, che ha coordinato e poi mixato il tutto. Non ti nascondo che a molti di noi sarebbe piaciuto di più andarci live su Rinse o almeno vederci tutti in un booth a registrare, ma non mancherà occasione in futuro. Non ci sono molti altri esperimenti di questo tipo, conosco solo questo gruppo che si chiama Global Grime (da cui è partita la proposta del “Grime Olympics”) che ha basato la sua mission proprio sul creare movimento e unità tra vari artisti e crew grime sparse per il mondo. Secondo me il movimento sta crescendo, anche se in maniera ancora lenta, un po’ ovunque, ma a oggi non c’è nessun MC e nessuna crew extra UK che mi ha colpito in maniera particolare.
Infatti Londra resta, senza dubbio, la città di riferimento dei suoni su cui rappi: ci vai spesso? E quante affinità e diversità ci trovi con Napoli, dove ti sei formato?
Ci torno ogni volta che sento di aver bisogno di certi stimoli. L’ultima volta, per esempio, sono capitato a suonare al Fabric ospite di D Double E e ho avuto modo di fare rap e confrontarmi con vari big UK come Footsie, Novelist, P Money, Blacks, Jamakabi, ma anche quelli della mia generazione e che già avevo avuto modo di conoscere a Milano come Jammz, Capo Lee e i YGG - il tutto con Spyro in consolle… è stata un’esperienza indimenticabile per me e uno stimolo fortissimo a scrivere nuove cose e a produrre quest’album. Secondo me, sia Napoli sia Londra hanno una forte identità culturale, nonostante siano due metropoli cosmopolite, un’identità soprattutto musicale che si fa grande nel mondo. E questo le rende tanto uguali quanto diverse.
Passando alla tua musica. Hai sempre tenuto a sottolineare le tue radici napoletane. A parte l'uso del dialetto e il campionamento di Mario Merola in "Senza controllo", aiutaci a trovare Napoli in altri aspetti del disco meno evidenti...
Io sento di rappresentare la mia città in quello che faccio artisticamente, cerco di portarla nel mondo e, in qualche modo, di contribuire al suo patrimonio artistico-culturale. Nel disco ho cercato di mettere insieme alcuni pezzi della mia vita, quindi troverai storie vissute a Napoli come storie vissute a Milano (città in cui vivo da otto anni, ormai) o a Lonrda. In “Arraggia” e “Chiove”, per esempio, utilizzo qualche termine della “parlesia napoletana”, un linguaggio in codice creato dai musicisti per non farsi capire, utilizzata, in seguito, anche dalla camorra negli anni ’70 (vedi il film “Il Camorrista” di Tornatore o “No grazie, il caffè mi rende nervoso” con Troisi).
Invece, a cosa si riferisce il titolo dell'album, "Gioco sporco”?
Uno dei primi brani del genere che ho scritto (mai pubblicato, ci sono solo alcune rappresentazioni live sul web) si chiama “‘O spuorco” (Lo sporco), riferendomi proprio al grime, ma anche allo sporco che c’è nel mondo e quindi principalmente mi è venuto molto naturale chiamarlo così per lo stesso motivo. Volevo realizzare un album che potesse essere un riferimento per lo sviluppo del genere in Italia e volevo fosse intuibile già dal titolo, mi è sembrato quello giusto in fase di brain-storming e l’ho tenuto.
Anche le produzioni musicali sono tue: sei più conosciuto come MC, ci racconti che esperienza hai da producer?
Ho iniziato a produrre beat nello stesso momento in cui ho iniziato a fare rap, ma non ho mai pubblicato nulla fino a questo momento. Ho iniziato su FL Studio 5, diciamo che era più l’esigenza di rendermi indipendente da tutti e nel poter confezionare un brano al 100% da solo e nei tempi che più mi facevano comodo (subito dopo imparai a registrare ed editarmi le tracce vocali con Cubase). Devo tutto a mio fratello maggiore Deadroom (conosciuto anche come Luca Moka) che mi ha iniziato a tutto questo. Lui faceva beat hip hop già nel ’99, dapprima con una vecchissima Roland CR-8000, presa in prestito da nostro cugino, e solo in seguito con un Akai MPC2000, macchina ormai leggendaria. Lui è stato sempre d’ispirazione per me, sperimentava un sacco, tirava fuori suoni da qualsiasi oggetto e componeva beat sempre diversi e originali seppur spesso lontano dagli standard. Quando ho deciso di realizzare un disco di questo tipo, mi sono detto che solo io avrei saputo tirar fuori esattamente quello che volevo dalle produzioni e quindi, in maniera molto naturale, ho buttato fuori quattro beat e li ho uniti al resto delle collaborazioni che già avevo.
Per finire, questo è il tuo primo disco ufficiale e, oltre ad appartenere a un filone che in Italia è quasi inesistente, si tratta di un'uscita realmente indipendente: alla luce delle tendenze attuali del mercato (di cui parlavi all'inizio), che aspettative hai?
Sarebbe bello poterti dire che in Italia c’è la curiosità e l’audacia da parte delle major di interessarsi e puntare su un prodotto del genere e su artisti non appiattiti dallo standard, ma purtroppo tutto questo non c’è ancora, si pensa al cavallo vincente e alla hit del momento, trasformando di continuo le proprie rapstar da un trapper a un cantante reggaeton a seconda dei tempi. Con Antistandard Recs, che ha subito creduto in questo progetto, eravamo consapevoli sin da subito di questa cosa, conosciamo il mercato, sono anni che ci muoviamo in questo settore dall’underground.