
A maggio scorso, sulle pagine di Dj Mag abbiamo dedicato la nostra rubrica mensile a Damianito intitolando il pezzo "storia italiana di un dj in ascesa mondiale". Già, perché il ragazzo, partito da Matera, quest'anno ha vinto l'edizione internazionale del Red Bull 3Style e, oltre ad avere una storia di formazione che si è evoluta in un modo che piacerebbe ai registi americani affamati di storie italiane, ha un talento, un'umilità e, nel contempo, un entusiasmo che merita di essere raccontato. Vi riproponiamo l'intervista qui su Hellmuzik anche perché il suo tour europeo da campione mondiale del Red Bull 3Style sta per partire (qui sotto le date, che saranno aggiornate continuamente sulle pagine ufficiali del'artista). Le foto sono le stesse uscite sulla rivista e sono firmate da Roberto Graziano Moro.
September 15 Basel - Switzerland
September 21 Prague - Czech Republic
September 22 Poznan - Poland
September 26 London - UK
September 27 till October 5th - TBA
October 6 Nantes - France
Damianito, classe 1990, originario di Matera, ha ereditato la sua passione musicale dal padre e dopo anni di sperimentazioni e dedizione è salito una volta per tutte alla ribalta, proprio quest'anno, vincendo il prestigioso contest internazionale Red Bull 3Style. Lo abbiamo incontrato nei nostri studi per farci raccontare il suo percorso e scoprire, con piacere, come un ragazzo di 27 anni che sta girando i club di mezzo mondo e riceve lodi da pezzi di storia come Jazzy Jeff riesca a essere ancora molto legato alle sue origini e sempre umile, oltre che determinato come quando fare il dj per lui era solo un sogno.
Come comincia la tua storia da dj?
La mia prima esperienza in assoluto è stata durante un capodanno in una balera: i miei genitori mi avevano lasciato con i miei nonni, avevo undici o dodici anni, e mi sono improvvisato selecter cambiando le cassette. Mi era piaciuto molto vedere la reazione della gente quando si fiondava in pista a ballare: lì è scattato qualcosa…
Che tipo di musica ti appassionava in quegli anni?
Ascoltavo di riflesso quello che piaceva a mio padre, un vero fan del funk anni ’70 e ’80 - quello con influenze più elettroniche - e della disco music. Lui è sempre stato patito di vinili e, per giunta, all’epoca lavorava in un negozio di dischi della mia città, Matera, in cui si occupava anche di riparare le radio e le televisioni. Per passione, inoltre, faceva il dj di spalla a un altro ragazzo, in pratica gli passava i dischi da mettere nelle feste private in cui li ingaggiavano: lui era la mente e l’altro il braccio. A parte questo, sono stato sempre influenzato da varie sonorità, anche grazie al fatto che ho studiato danza. Una delle prime passioni, per esempio, è stata la musica latina, ma anche in questo caso perché seguivo i miei genitori ai concerti e alle feste. Sto parlando ancora dell’adolescenza.
E a un certo punto hai deciso che avresti provato a fare il dj…
Sì, ho iniziato a imparare osservando i dj alle feste: mi piaceva guardare come sceglievano i dischi e il modo in cui li mettevano, passavo molto tempo di fianco alla consolle e cercavo di imparare con gli occhi, diciamo. Così a un certo punto ho deciso di comprare i cdj insieme a un amico e ho iniziato a propormi per qualche festa e la mia prima esperienza ufficiale è arrivata per un party di Halloween, avevo sedici anni. Insomma, ho fatto il processo inverso a quello classico, perché solo dopo qualche anno sono arrivato al giradischi, quasi per caso, quando mi sono trasferito a Roma, nel 2009, e ho notato che lo usavano tutti. Quindi ho comprato molto tardi il mio primo giradischi.
E come hai affinato la tecnica in così poco tempo?
La mia prima fonte di ispirazione, in assoluto, è stato l’ascolto di una registrazione di una serata di Dj AM: mi ha “stuprato” il cervello capire come mischiava i generi facendo dei collegamenti contestuali e tecnici… era qualcosa che non avevo mai ascoltato. Lui era scomparso da poco per overdose e per me, in quel periodo, era diventata una routine giornaliera quella di imparare la sua tipologia di serata. Il primo dj che mi ha mandato in palla è stato lui, per tutto, a partire dalla tecnica e passando per la selezione che spaziava molto: dall’elettronica ai sample anni ’70 passando per la sua passione per il rock, era tutto un viaggio musicale e per me era qualcosa di davvero speciale sentire un pezzo dei Metallica in un club dove fanno solo bottle service. Venivo da una realtà dove non c’era molta varietà di dj dunque quell’ascolto mi ha aperto un mondo...
Quando hai iniziato anche tu a sperimentare?
Sempre a Roma, quando sono entrato nel circuito dei dj, ma è successo molto gradualmente perché all’inizio facevo i venti minuti di apertura in cui bisognava dimostrare le proprie capacità. La mia fortuna è stata quella di non legarmi a nessun suono in particolare: in qualche modo anch’io ho contribuito ad anticipare quello che è lo standard attuale, ossia serate che toccano più generi e in cui ci si può permettere anche di mixare un pezzo anni ’80 con uno trap.
Al turntablsim, invece, come sei arrivato?
Sempre grazie a Dj AM: all’inizio volevo proprio diventare come lui, che non aveva un approccio da purista e voleva dimostrare alla gente come la conoscenza musicale andasse di pari passo alla tecnica. Chiaramente, come capita con tutte le passioni, si inizia a prendere spunto da qualcuno o qualcosa ma poi si va avanti per la propria strada, anche perché diventa una droga e si alza sempre l’asticella della difficoltà, anche con la tipologia di scratch, appunto. In ogni caso, ancora una volta devo ringraziare AM per aver approfondito quel mondo e scoperto poi Q-Bert, Babu, Craze, A-Trak, Angelo e tutta questa generazione.
Che giradischi usavi all’inizio?
Ho comprato dei Technics 1210 di sesta mano: mi sono arrivati senza braccetto, senza quarzo, senza niente… li ho riparati e poi, ecco, li ho distrutti di nuovo (sorride, ndr). E fino a pochissimo tempo fa ho usato sempre e solo loro, anche se, in certi locali, mi capitava di usare altri modelli, anche a cinghia.
Dopo le prime serate di successo hai iniziato subito a pensare che stavi diventando un professionista?
Sviluppando la tecnica ho capito di avere le possibilità per far diventare tutto ciò un lavoro. Il trasferimento a Roma mi ha confermato che uno dei miei più grandi desideri era quello di campare di musica, dunque mi sono messo sotto per cercare i club dove trovare spazio e quando un promoter ha visto in me del potenziale sono salito di livello diventando resident di due o tre locali romani. Questa è stata la svolta.
È sempre in questo periodo che hai cominciato a partecipare ai contest?
No, un po’ dopo: il primo è stato l’edizione italiana del Redbull 3style del 2016, dove sono arrivato terzo. Ho sempre pensato che per fare un contest devi essere super preparato: nella mia testa partecipare a competizioni simili significa dover andarci già da vincitore, quindi pur conoscendo il Redbull 3style dal 2011 ed essendo tentato di partecipare subito, mi sono detto di aspettare un attimo perché gli altri all’epoca per me erano troppo forti. Mi dovevo allenare e l’ho fatto. Alla fine ho fatto due edizioni italiane del Redbull 3style, una internazionale (da campione italiano, appunto) e ho partecipato al programma tv Top Dj. Nessun altro contest. Tra l’altro subito dopo il primo, durante il quale ero molto nervoso, ho capito che il segreto sta nel pensare di meno e divertirsi di più: devi avere delle idee fighe e delle skill nella media perché devi soprattutto puntare al divertimento trasmettendo qualcosa di tuo.
Adesso che è un lavoro cosa ti piace di più del mondo del djing?
Ho la grande fortuna di poter viaggiare e conoscere un sacco di persone e questo mi piace molto. Aver vinto il Red Bull 3Style è una manna dal cielo perché mi darà la possibilità di incontrare tanti dj, molti sicuramente più forti di me, da cui potrò imparare qualcosa per accrescere ulteriormente le mie conoscenze. Viaggiare per imparare è la cosa che mi piace di più di questo lavoro.
C’è stato un pubblico di qualche Paese straniero che ti ha colpito in particolare?
Guarda, prima di andare in Germania, per i soliti luoghi comuni, mi avevano detto che il pubblico era serio e freddo. Invece, in una serata a Francoforte, ho capito che quando si crea la festa i tedeschi si sbottonano totalmente, diventano gli amici di una vita e ti senti a casa, come in una festa tra amici e parenti. Per finire: ti piace tutto come prima o proprio il fatto che sia diventato un lavoro, magari anche stressante, ha tolto del fascino alla tua aspirazione? In generale mi sento pronto ad affrontare nuove sfide, dunque il prossimo “contest” sarà quello di affrontare un tour di 30 o 40 Stati.
E a un disco non ci pensi?
Il primo step sarà, appunto, affrontare questo tour, ma subito dopo mi chiuderò in studio per produrre un disco che rispecchierà il mio stile da dj: voglio trovare un punto di incontro tra quello che mi piace e quello che la