
Quando a gennaio abbiamo analizzato la tracklist e i singoli già editi del loro nuovo disco per sostenere come non abbia senso definirli drum and bass, abbiamo anche detto che saremmo tornati sull’argomento. In breve, ecco la nostra impressione sul nuovo album dei Rudimental.
Uscito da poco più di due settimane, “Toast To Our Differences” è un album pieno di ospiti con background differenti e di sfumature ritmico-sonore diverse. I Rudimental sanno essere, a turno, latini, caraibici, tropicali, africani, statunitensi e, chiaramente, inglesi. Le loro canzoni si sposano alla perfezione con le radio, sono ideali per spot pubblicitari o, come giustamente si legge un po’ ovunque, vanno benissimo per la dimensione party (ancora meglio se estivi). Di fatto è un album contemporaneo: una raccolta di singoli in cui si fa fatica a non trovare una hit (che è quello che, come si sa, richiede il mercato). E proprio per questo “Toast To Our Differences”, anche se dura una buona ora, è un album facile da ascoltare, che la critica non sta né stroncando né esaltando. Una decina o quindicina d’anni fa un disco simile sarebbe stato una compilation da sottofondo tipo “Buddha Bar”; oggi dietro l’operazione invece di un locale (o un’etichetta) c’è un gruppo. Non che sia un approccio nuovo per Piers Aggett, Amir Amor, Kesi Dryden e DJ Locksmith, anzi. Ma, appunto, se la formula diventa seriale, vengono in mente termini di paragone simili. Tra gli inediti spicca “Dark Clouds” in cui pop, reggae e drum and bass convivono senza fare a pugni. E questa è anche una qualità: avvicinare mondi (e quindi pubblici) non proprio confinanti. Neanche questo rappresenta niente di nuovo ma, ecco, dai Rudimental è bene non aspettarsi chissà quali stravolgimenti ma degli accostamenti semplici. Musica “generalista” per pubblico trasversale.