
Sta per uscire nelle sale inglesi e statunitensi il documentario su Mathangi Arulpragasam, per gli amici Maya e per tutti gli altri M.I.A.
Proiettato a inizio 2018 in anteprima mondiale al Sundance e, un mese dopo, alla Berlinale, “MATANGI / MAYA / M.I.A” è il documentario diretto dall’esordiente londinese Steve Loveridge in cui si racconta il "notevole percorso dallo status di immigrata rifugiata a quello di pop star” di M.I.A., artista britannica classe 1975 proveniente dallo Sri Lanka e venuta alla ribalta nel 2005 grazie a un disco di esordio vicino al capolavoro come “Arular”. Il documentario arriverà nelle sale inglesi il 21 e in quelle statunitensi il 28 settembre, mentre l'ultima proiezione pubblica è avvenuta proprio ieri al Way Out West, uno dei festival musicali estivi più importanti d'Europa, che si svolge in Svezia, a Göteborg, e dove M.I.A. si è anche esibita dal vivo. Qui da noi per ora lo hanno visto in pochi, tra fine maggio e fine giugno, grazie al Biografilm Festival di Bologna, dove era in concorso ed è stato proiettato in anteprima italiana in sei occasioni,
Il film rivela che, in principio, M.I.A. voleva diventare una regista di documentari e, tornata in Sri Lanka come studentessa di arte, ha filmato i membri della sua famiglia, archiviando immagini preziose. Questa è una premessa importante ma poi ci si sofferma sulle brutte esperienze con il regime militare del Paese di origine che hanno influenzato la sua attitudine politica e artistica, dunque anche la maniera di concepire la musica, ispirata, successivamente, da molte culture e suggestioni differenti assorbite tra occidente e oriente, tra “Kingston e Mumbai”, come è già stato scritto. Così, una volta divenuta famosa, il suo supporto ai controversi ribelli Tamil, ereditato dalla militanza del padre, è stato preso di mira da alcuni media mainstream e dai politici e ascoltatori più conservatori. Il punto forte del documentario è proprio l’utilizzo del materiale d’archivio per lo più girato da M.I.A. negli ultimi 22 anni, dunque Loveridge, amico fidato e compagno di scuola d’arte della “bad girl”, ha fatto il grosso del lavoro selezionando e montando queste immagini insieme a qualche apparizione televisiva, alle performance dal vivo, ai videoclip e a immagini realizzate apposta per l’opera. Il paradosso, come ha dichiarato proprio Loveridge, è che “la pop star Maya è la meno presente nel film” perché in questo senso è la sua musica a parlare, mentre il documentario si concentra su un percorso di formazione più generale. Nella colonna sonora, curiosamente, figurano quattro pezzi delle Elastica - band britpop conosciuta più che altro negli anni ’90 - la cui cantante e chitarrista, Justine Frischmann, è stata coinquilina di M.I.A.: le due hanno vissuto varie esperienze insieme collaborando anche alla scrittura di alcuni pezzi di "Arular" come quel gioiello di “Galang”.
Sarà molto dura vedere il film in qualche cinema italiano ma chissà che alcune sale indipendenti possano azzardare delle proiezioni da fine settembre in poi. Conviene sperarlo anche perché Netflix ha rifiutato di acquistare il titolo (anche se, visto il successo che sta riscuotendo nei festival, potrebbe esserci un ripensamento). Intanto, per restare aggiornati, oltre ai canali ufficiali di M.I.A., si può seguire il film su tutti i social network (Twitter, Instagram e Facebook) e su un sito ufficiale.