Anche su Netflix si parla di bass music.
“After the Raves” è una docu-serie in onda su Netflix girata nel 2016, diretta da Danny Lee e condotta da Tommie Sunshine. Il DJ e producer di Chicago residente a Brooklyn fa da guida a un viaggio in varie città americane ed europee dove incontra molti artisti della scena elettronica, dalle superstar (in maggioranza) a qualche rappresentante dell’underground. Il titolo parla chiaro: la serie vuole raccontare l’ascesa nelle classifiche dei vari ritmi dance elettronici dall’epoca dei rave degli anni ‘90 fino ai giorni nostri. La prima stagione è composta da nove puntate della durata di 25 minuti l'una in cui si intervistano, in media, tre artisti per volta. Per molti versi si tratta della tipica americanata, e un esempio emblematico è l’intervista alle Krewella, in cui la loro “rigida” e “ingiusta” educazione islamica (le due sorelle dell’Illinois hanno origini pakistane) viene contrapposta - facendo perno sui soliti luoghi comuni - al “libertario” e “giusto” modello occidentale. In ogni caso qualche intervista interessante c’è. Spiccano le puntate su Los Angeles (a parte la ricostruzione storica iniziale che parte dai Doors e, in 20 secondi, passando dal punk e dal rap, arriva ai rave) e sull’Inghilterra (già, non su Londra, ma sul Paese in generale... anzi, Sunshine va a Brighton e Manchester quasi ignorando, anche a parole, la capitale).
A LA, Sunshine incontra 12th Planet, uno degli afroamericani in città a non aver trovato una via d’uscita grazie al rap o allo sport ma puntando sui ritmi elettronici. Più che per la sua concezione della dubstep (molto americana, appunto) l’artista classe 1982 anche noto con l’alias Infiltrata, dà una visione della città non proprio convenzionale, visto che vive nella downtown: lo stesso quartiere che una volta era sede dei rave, perché desolato e con vari edifici abbandonati, oggi dà residenza a molti dj e producer, specialmente in Spring Street, arteria artistica della zona. Lo scenario cambia completamente nella parte nord di LA, in collina, dove Sunshine incontra l’artista meno convenzionale di tutta la serie: The Gaslamp Killer. Con la stramba verve che lo contraddistingue, il dj e producer originario di San Diego lega la sua concezione di hip hop sperimentale a cultura, atmosfera e composizione della città in cui vive adesso, dove ha scelto una zona storicamente gradita anche alla mafia messicana...
La serie è leggera, una specie di compendio sui ritmi digitali, la loro evoluzione e il loro mercato, raccontato per sommi capi, spesso facendo esempi e ricostruzioni storiche opinabili e con qualche tocco di sentimentalismo tipico della cultura statunitense. Chiaramente si può andare dritti sulla puntata che più interessa, guardarne una sola ignorando le altre, senza perdersi nulla. Da parte nostra, vi consigliamo quella sull’Inghilterra perché Fatboy Slim ha sempre molto da dire e il suo racconto di Brighton è molto suggestivo, mentre MRK1 è il rappresentante più credibile della dubstep tra quelli interpellati e, inoltre, è lui a presentare i Virus Syndicate accennando, tramite loro, al grime (anche se quello del versante Manchester). Ecco, se nelle nove puntate la dubstep viene citata spesso anche da producer molto commerciali, il grime (giustamente) lo trovate solo nella puntata inglese. Anche se questo non basta a rendere “After the Raves” una serie imperdibile, alla fine 25 minuti si possono anche investire.